Le chiese rupestri e il bizantinismo

Non sempre accanto ad un insediamento rupestre è affiancata la chiesa; essa, infatti, pare estranea alle tipologie insediative di tipo più strettamente difensivo, mentre diventa luogo di aggregazione per i centri di natura abbastanza stabile, che nascono attorno a grotte allineate su un unico filare senza dispositivi difensivi.

Tale particolare situazione fa sì che ci sia una distribuzione irregolare di chiese rupestri nell’Isola, apparendo esse per lo più in settori montani o nelle vallate dove è più agevole sfruttare grotte di vario tipo o insediamenti trogloditici.

Il sorgere delle chiese rupestri può agevolmente essere databile al IX secolo quando, durante l’invasione moresca, le grotte naturali offrirono asilo ai monaci che, sfruttando le naturali cavità del territorio, crearono sia oratori che cenobi. Proprio in quanto strettamente collegata all’orografia e alle particolarità carsiche del territorio, la distribuzione di questi santuari si presenta assai varia e irregolare, spesso essi riadattano siti precedenti (è il caso per le grotte-santuario di Monterosso Almo, di Caltabellotta, di Caltagirone, di Cava d’Ispica e del complesso rupestre di Sant’Angelo Muxaro, dove asceti cristiani non esitarono ad utilizzare una maestosa escavazione ipogeica sormontata da cupola).

La presenza dei monaci di rito orientale provoca una sorta di riellenizzazione di tutta l’Isola, arrivando a costituire quel sostrato culturale e religioso che sarà spesso solo scalfito dalle invasioni normanne. Nonostante si sia più volte sottolineato come gli insediamenti trogloditici letteralmente esplodano sotto la dominazione nordica, la koinè greca tende ad affiorare continuamente, a volte sovrapponendosi a quella normanna (e spesso fagocitandola), altre volte semplicemente convivendo fianco a fianco.

Un bizantinismo mai morto è percepibile nelle chiese rupestri insistenti nella Necropoli di Pantalica (principalmente nei santuari di San Nicolicchio, San Micidiario, del Crocifisso e, sulle balze dello stesso altipiano, nella Grotta di San Pietro), nel monastero di San Marco e nell’Oratorio trogloditico di Santa Lucia a Siracusa (quest’ultimo fondamentale per la conoscenza della pittura bizantina in Sicilia), e infine appaiono chiare anche nelle nomenclature toponomastiche: Sant’Eligio, San Basilio, Sant’Aloe, San Pancrazio, Kirikò, Pancali, mentre Lentini costituisce un episodio paradigmatico in questo senso, in quanto la parte greco-romana medioevale e moderna convivono in modo eteroclito.

Certo la compresenza di due culture così profondamente diverse influenza anche l’architettura religiosa di tutta l’Isola. La struttura dei santuari appare spesso complessa e non definibile, in quanto rarissimamente si tratta di fondazioni ex novo, mentre, sempre più frequentemente, si è davanti alla trasformazione di grotte naturali. Questo atteggiamento nei confronti dei luoghi rivitalizzati dalla presenza monastica (o anche solo civile), porta ad avere numerosi santuari che manifestano medesime caratteristiche, ed è questo il caso della Grotta Santa presso Siracusa e dell’omonima di Monterosso Almo, mentre una convivenza di distinte influenze si ravvisa per esempio nella Grotta del Crocifisso e nella Grotta di Santa Margherita a Lentini; esse presentano il santuario propriamente detto, cui si affiancano un sacello rettangolare e un ambiente pure rettangolare. Meno frequente è la presenza di santuari a base circolare e sviluppo cilindrico esemplificato dalla grotta della Santa Panaria presso Siracusa, di Castelluccio a Noto e di Sant’Angelo Muxaro nell’agrigentino.

Forme più elaborate si riscontrano nella Cripta di San Marziano a Siracusa che traduce lo schema tipico del santuario trifogliato centrico, mentre nella Grotta di San Pietro, vicino Buscemi, la pianta non può essere di tipo basilicale essendo presente un’aula a sviluppo rettangolare con attinenti piccoli vani secondari che formano il corpo della chiesa. Diversamente l’oratorio di Cugni di Cassero presenta una regolarità più precisa dove l’absidiola di fondo, il dromos scoperto e l’ambiente a pianta quadrata seguono delle precise esigenze stereometriche.

Particolarmente interessante, accanto al fenomeno delle chiese rupestri isolate o a diretto contatto con i centri trogloditi, appare il fenomeno del cenobitismo. I cenobi, siano essi subdiali o rupestri, sono, in realtà, i veri e propri centri propulsori del monachesimo in epoca prenormanna e normanna. Nonostante si abbia notizia di monasteri rupestri sparsi nel Val Demone e Val di Noto, nonché nel Siracusano e nel Ragusano, sono veramente molto pochi gli insediamenti complessi di cui si possiede un ricco corredo documentario o informativo. A parte il Monastero di Santa Lucia di Mendola, legato al monastero benedettino calabrese di Santa Maria di Bagnara, pare assodata la presenza di un cenobio presso la chiesa rupestre di Santa Maria a Cava d’Ispica. mentre segni di una struttura cenobitica si nota presso la chiesa San Marco che presenta un impianto simile a quello della Grotta di Santa Febronia con abside semianulare con catino annesso e subsellia ricavate lungo le pareti che attuano un tipico schema basilicale [1].

[1] Accanto ai cenobi è possibile, ipotizzare anche una sorta di collegamento tra varie grotte che al giorno d’oggi appaiono isolate mentre potrebbero essere, in realtà, parte di monasteri di ampie dimensioni e variamente dislocati sul territorio isolano.