I siti rupestri

La civiltà rupestre di età normanna nella Sicilia

Il fenomeno del trogloditismo medioevale siciliano viene per la prima volta riconosciuto da Paolo Orsi all’inizio del ‘900. La mancanza di un serio apparato documentario, unita alla difficoltà ad intraprendere una indagine stratigrafica scientifica (principalmente riguardo al continuo riuso delle strutture nel corso dei secoli), ha portato lo studioso a proporre, per le strutture prese in esame, una datazione all’età bizantina e a riconoscere tracce di una frequentazione insediativa altomedioevale.

Con lo sviluppo degli studi archeologici e l’attenzione sempre maggiore riservata alle realtà particolari, nonché alla necessità di allargare gli orizzonti culturali, al fine di una maggiore comprensione delle situazioni particolari, si è sentita l’esigenza di allargare i campi di indagine, circa il fenomeno del trogloditismo, a gran parte del bacino mediterraneo orientale, alla Puglia, alla Cappadocia e all’Africa settentrionale. Tale serie di confronti si è rivelata necessaria per poter giustamente contestualizzare la situazione siciliana, evitando sia di considerarla una sorta di unicum sia come centro propulsore del fenomeno rupestre.

Le prime tracce di un popolamento di tipo rurale, ma apparentemente estraneo a quello trogloditico, si ritrovano nell’altopiano ragusano fin dalla tarda Antichità. Qui si nota la tendenza della popolazione a vivere in strutture caratterizzate dall’uso della tecnica megalitica a secco, certamente memore delle modalità costruttive classiche, che si ritrova anche nell’entroterra libico e nell’isola di Malta.

In ambiente mediorientale (Palestina, Cappadocia), il trogloditismo sembra frutto di necessità sociali depresse in cui si nota una tendenza, spesso causata dalle avverse condizioni climatiche caratterizzanti il VII secolo, a riutilizzare il preesistente. La mancanza di acqua ha favorito, quindi, la tendenza a organizzarsi in società rupestri in depressioni carsiche dove, grazie all’abbondanza idrica, la vegetazione appariva più rigogliosa e, pertanto, si veniva a creare un habitat climatico favorevole all’insediamento umano.

In quanto causato da situazioni contingenti, il fenomeno del trogloditismo è parallelo all’abbandono degli insediamenti di superficie; ciò probabilmente è ravvisabile anche in Sicilia, dove simili depressioni carsiche offrono migliori possibilità di vita e appare chiaro un interesse ad usare il preesistente (grotte o tombe a camera) per abitazione.

Nell’isola, così come appare dalle fonti arabe, i primi veri e propri insediamenti trogloditi sono databili al IX secolo; è, infatti, ricordato nell’841 il sito di Hisn al-Giran, nell’Ennese corrispondente ad un tipo di insediamento fortificato con almeno 40 grotte. In questo periodo la realtà troglodita siciliana appare ben strutturata e, facendo un confronto con la situazione in Cappadocia, in Puglia e in Libia, sembra sempre più difficoltoso riconoscere sul territorio isolano una civiltà rupestre antecedente alla conquista araba; è chiara, infatti, una contemporaneità tra le prime chiese rupestri pugliesi, medio-orientali e quelle siciliane che sorgono tutte all’inizio del IX secolo, quando il Mediterraneo comincia ad entrare nell’orbita islamica.

Tale ipotesi sembra trovare fondamento qualora si analizzino le tracce relative alle prime frequentazioni delle grotte; nonostante, infatti, le difficoltà di lettura, dovute alla continua frequentazione dei siti rupestri per un lasso di tempo lunghissimo, è possibile che il trogloditismo abbia rappresentato la facies più comune della Sicilia islamica e ciò è provato dal frequente ricorso, in epoca normanna, a toponimi arabi per definire l’insediamento.

Tale ultima affermazione porta a considerare però, con un discreto margine di certezza, le prime chiese rupestri come strettamente collegate alla cristianizzazione della Sicilia, grazie all’invasione normanna, e quindi a rileggere in chiave occidentale il fenomeno del trogloditismo. Esso, infatti, in Sicilia sembra frutto proprio dell’esportazione di una modalità insediativa tipica del meridione peninsulare (Materano e Puglia), grazie all’immigrazione nell’Isola di popolazioni provenienti da queste zone a seguito dei cavalieri normanni. La messa in luce di questa nuova e diversa rete di contatti mette in crisi l’obsoleta immagine di una Sicilia bizantina di tipo essenzialmente rupestre, ipotizzata da Paolo Orsi. Ad essa è necessario contrapporre, quindi, una realtà certamente non monumentale ma caratterizzata da insediamenti subdiali in muratura e non da grotte [1].

[1] Dopo la pubblicazione del testo di Messina sulle Chiese rupestri del siracusano, nel 1979, si effettuò il VI Convegno di studio sulla civiltà rupestre medievale nel Mezzogiorno d’Italia proprio in Sicilia.